La F1 che non c’è più: Arrows
30 Gennaio 2021Dall’origine controversa alla bancarotta, la curiosa storia delle “frecce” inglesi.
Lo scandalo “Mercedes rosa” dello scorso anno e la spy story tra Ferrari e McLaren del lontano 2007 sono gli esempi più recenti di plagio (quantomeno presunto) tra due scuderie. In pochi, però, conoscono la storia della Arrows, le “frecce” inglesi più controverse del circus.

Le origini e gli anni ’70
Facciamo un tuffo nel passato, più precisamente nel 1977, anno in cui venne fondata la scuderia. Inizialmente questa avrebbe dovuto avere sede in Italia e chiamarsi Ambrosio Racing Team per via del suo finanziatore, ma alla fine si optò per ARROWS (acronimo dei suoi fondatori – Ambrosio, Rees, Oliver, Wass e Southgate). La prima vettura, la FA1, costruita in appena 53 giorni, si rivelò molto competitiva sin dalla prima gara, cogliendo un decimo posto con Riccardo Patrese durante il Gran Premio del Brasile del 1978 ed altri risultati utili nella prima parte del campionato; la monoposto, tuttavia, suscitò molte polemiche, colpevole di essere una copia della statunitense Shadow DN9.

In effetti, gran parte del personale della Arrows, così come il primo pilota, Patrese, provenivano proprio dalla Shadow, per cui Don Nichols, fondatore della scuderia statunitense, intentò una causa contro Arrows rivendicando la proprietà intellettuale dei progetti; cosa che ottenne grazie all’Alta corte di Londra, che giudicò la Arrows colpevole di plagio e la obbligò a pagare una multa di 500mila sterline, che mise in seria difficoltà il team inglese.

La situazione economica si aggravò nel momento in cui Franco Ambrosio fu indagato ed arrestato per reati finanziari; ma, nonostante la mancanza di liquidità, la scuderia di Milton Keynes riuscì a progettare una vettura – la Arrows A1 – in poco più di un mese. A differenza della precedente, la A1 risultò essere molto meno competitiva, infatti raccolse diversi ritiri e addirittura in alcune occasioni mancò la qualifica. Inoltre, a causa del plagio, la FOCA non assegnò al team i bonus per il decimo posto, complicando ulteriormente le finanze della scuderia, che vennero risanate poco dopo grazie all’approdo di nuovi sponsor.
Gli anni ’70, avari di soddisfazioni, si conclusero con la A2, conosciuta meglio come “supposta” per via della sua particolare aereodinamica priva di appendici: un’auto caratterizzata da problemi di bilanciamento, che impedì ai due piloti di raccogliere risultati di rilievo.

Gli anni ’80
Ben più soddisfacenti furono gli anni ’80. Nel 1981 Patrese, alla sua quarta stagione con le “frecce”, conquistò la prima – ed unica – pole position per la scuderia inglese, che purtroppo il giorno dopo si tradusse con un ritiro a causa di un guasto meccanico. Nella stessa stagione Patrese raccolse un terzo posto in Brasile e un secondo posto a San Marino, che valsero al team l’ottava posizione in campionato.

A confermare questo trend positivo, nel 1984 la Arrows firmò un accordo con BMW per la fornitura di motori turbocompressi, i quali – grazie anche ai fondi derivati dagli sponsor – consentirono un sviluppo della vettura, che arrivò nuovamente ottava al termine della stagione 1985.
Per il vero salto di qualità bisognerà aspettare il biennio 1987-1988, quando la Arrows, motorizzata dai performanti propulsori Megatron (sempre prodotti dalla BMW), riuscì stabilmente a raggiungere la zona punti e collezionò un terzo posto nel Gran Premio d’Italia del 1988. A conferma di questa evoluzione sono il settimo ed il quinto posto nella classifica costruttori, blindati rispettivamente nel 1987 e nel 1988.

Il 1989, all’insegna del nuovo accordo biennale con Ford, si concluse con un settimo posto e con un bottino di 13 punti, tra cui un terzo posto nel Gran Premio degli Stati Uniti.
Gli anni ’90
Gli anni ’90 iniziano all’insegna dell’instabilità e della ristrettezza economica: nel 1991, dopo una stagione di alti e bassi Jackie Oliver, patron delle frecce inglesi, fu costretto a cedere il pacchetto azionario di maggioranza alla compagnia nipponica Footwork, già presente a partire dalla stagione precedente in qualità di sponsor. La scuderia, dunque, prese la denominazione di Footwork Arrows e lo mantenne fino al 1996, quando Kazuo Ito si ritirò dall’investimento. La gestione della scuderia da parte della compagnia giapponese fu disastrosa: l’unico risultato di rilievo è un terzo posto in Australia, nel 1995, dilazionato in anni di mediocrità e di incostanza dovuti soprattutto a propulsori poco performanti (celebre è la stagione 1991, in cui il V12 Porche impedì ai piloti di qualificarsi in numerose occasioni e costrinse la scuderia ad optare per i propulsori Ford-Cosworth a giugno).

Al termine dell’accordo con la Footwork, nel 1996, Tom Walkinshaw acquistò la maggioranza del pacchetto azionario. La presenza del nuovo investitore – che, tra le varie cose degne di menzione, portò con se il campione del mondo in carica Damon Hill – fece ben sperare la scuderia inglese, che aveva raggiunto una certa stabilità economica grazie all’assunzione di un secondo pilota pagante. La vettura del 1997 (Arrows A18), tuttavia, non soddisfò le aspettative: l’unico risultato importante è il secondo posto coronato da Hill nel Gran Premio di Ungheria: podio dal sapore agrodolce, poiché il pilota britannico, dopo aver condotto gran parte della gara al comando, fu penalizzato da un problema tecnico al cambio.

La mancanza di competitività (le frecce inglesi, di fatto, non avevano mai fatto il “salto di qualità” che tutti si apsettavano), unita ai problemi di liquidità, fecero allontanare il campione britannico e costrinsero la Arrows a sviluppare un proprio motore, nel tentativo di ammortizzare i costi di gestione del team. L’esperienza del “motore in proprio“, durata 2 anni (1998 e 1999), si rivelò fallimentare poiché il gioco non valse la candela: a fronte di un grande investimento, la scuderia racimolò pochi punti e nessun piazzamento a podio.
Gli anni 2000
Il nuovo millennio si aprì in maniera positiva, grazie alla sponsorizzazione di Orange SA e all’apporto dell’imprenditore australiano Paul Soddart. La A21, nome dato alla monoposto per la stagione 2000, si rivelò ben costruita e, come la definì un giovanissimo Mark Webber, “superiore alla media” per via della sua stabilità. Di fatto, la A21 riuscì ad andare stabilmente a punti, combattendo ad armi pari con i middle team del circus.

Quello che poteva rivelarsi un fruttuoso sodalizio, tuttavia, si concluse ben presto: Soddart passò alla Minardi nel 2001 e la Arrows versò nuovamente in una situazione di instabilità economica, pertanto fu costretta ad effettuare un taglio dei suoi dipendenti. La monoposto del 2001 riflette pienamente la situazione interna del team: poco competitiva – a causa del poco performante motore Asiatech – e difficile da guidare. L’unico punto della scuderia venne raccolto da Jos Verstappen in occasione del Gran Premio d’Austria.
Quanto visto nel 2001 non è nient’altro che il preludio della stagione successiva: per il team inglese è l’inizio della fine. Nel 2002 la Arrows si trovò senza fondi a metà stagione, suscitando le polemiche dei piloti e dei membri del team, che lamentavano un ritardo nel pagamento degli onorari. Walkinshaw, nel tentativo di risanare la situazione, dapprima affrontò le spese attingendo dai propri fondi, ma dato che questi ben presto si rivelarono insufficienti, tentò invanamente di vendere la scuderia per conto di terzi. La situazione, di per se drammatica, divenne a tratti grottesca nel momento in cui fu chiesto ai piloti di girare più lentamente al fine di mancare la qualificazione. Frentzen, pilota di punta del team, esasperato dall’ambiente che si era generato, rescisse il contratto ed abbandonò la scuderia, costringendo la Arrows a schierare una sola vettura nel Gran Premio del Belgio.
A quel Gran Premio, tuttavia, la scuderia inglese non vi prese mai parte: nel momento in cui si venne a sapere che le trattative per la cessione del team erano nuovamente andate in fumo, il personale smantellò il box nel bel mezzo delle prove libere e lasciò platealmente il paddock. La scuderia fu dichiarata fallita, il personale venne messo in liquidazione forzata e la TWR – casa automobilistica di proprietà di Tom Walkinshaw – venne trascinata nella bancarotta.

Con questo triste epilogo finisce la storia delle “frecce” inglesi, che nella massima serie parteciparono a 291 gare, raccolsero 5 podi e, purtroppo, nessuna vittoria.