L’ambivalente percorso del tempo: i Gran Premi più lunghi della storia della Formula 1
4 Febbraio 2021 0 Di-Credo di essere appena stato nel futuro.
– Il futuro?
– Sì. Io ho parlato con te quando ero lì, tu mi hai detto di venire qui, tu mi hai detto che mi avresti aiutato.
– Quindi questa versione futura di me ha menzionato questo incontro giusto? Quindi dovrei ricordarmi di questo incontro qui, adesso.
– Veramente no.
– No?!
– Forse l’hai solo dimenticato.
– Quindi quello che stiamo facendo ora sta cambiando il futuro?
– Non si può cambiare il futuro.
Circuito Gilles Villeneuve, Montreal, Gran Premio del Canada. Lunghezza: 4361 metri. Tempo di percorrenza: 1 minuto, 13 secondi, 78 millesimi.
Circuito Nurburgring Nordschleife, Gran Premio di Germania. Lunghezza: 25.378 metri. Tempo di percorrenza: 7 minuti, 10 secondi, 8 millesimi.
Ai lati opposti del mondo, in due diversi continenti, uno sdraiato sull’estuario del fiume San Lorenzo in Canada, l’altro nascosto nella foresta, costruito come fosse un muro di cinta medievale intorno al castello di Nurburg in Germania, sorgono i due circuiti che hanno dato vita a quelli che ancora oggi sono ricordati come i Gran Premi più lunghi della Formula 1.
Stessa dicitura per un significato differente.
Perché se per il Gran Premio di Montreal la lancetta è ferma al 12 giugno 2011, giorno in cui Jenson Button ha trionfato dopo una gara di ben 4 ore, 4 minuti e 39 secondi, che ha visto il susseguirsi di ben 6 safety car e 89 sorpassi, per il Gran Premio di Germania ad attirare l’attenzione non è la lunghezza temporale della gara ma quella del circuito stesso. Più di 20 chilometri di tracciato creato per un solo ed unico scopo: mettere in crisi anche le automobili migliori, mettere alla prova anche i piloti migliori.

E un solo binomio si erge sopra tutti: Niki Lauda e la sua Ferrari.
E’ il 1 agosto 1976, a Montreal si stanno chiudendo i giochi della XXI Olimpiade per i quali, nell’estuario del fiume San Lorenzo, è stato costruito il Parc Jean-Drapeu, che vedrà al suo interno la realizzazione del circuito cittadino che ospita ancora oggi il Gran Premio del Canada di Formula 1.
Ma se oltreoceano la fine delle Olimpiadi rappresenta il primo granello di una clessidra pronta a segnare il tempo di un nuovo scenario per il mondo motore, in Germania c’è una clessidra diversa, il cui vetro si è indebolito dalle schegge arrivate dai numerosi incidenti mortali di cui ha scandito i secondi, una clessidra al cui interno l’ultimo granello sta per cadere….sul Nurburgring Nordschleife si sta correndo quello che sarà l’ultimo Gran Premio di Germania.

L’Inferno Verde, così i piloti hanno ribattezzato il Ring, uno dei gran premi più difficili del mondo, 23 chilometri nel cuore della foresta, su cui si dispiegano uno dopo l’altro dossi e cambi di pendenza. 23 chilometri di pista, troppi per dislocare i commissari di soccorso necessari lungo tutto il tracciato. 23 chilometri di asfalto di cui l’inizio è una assoluta certezza mentre la fine solo labile una speranza.
A marzo di quell’anno, nel corso del Gran Premio di Long Beach, i piloti chiedono di non correre in Germania, sottolineandone la pericolosità e minacciando di boicottare la gara. Una minaccia rimasta solo nell’aria perchè quella domenica di agosto sono tutti lì sulla griglia, pronti a scendere in pista.
Burattini di legno nelle mani di un destino beffardo perchè il 1976 è proprio l’anno in cui scade l’omologazione di guida del circuito e quindi quella rischia davvero di essere l’ultima gara al Nurburgring.
Curve pericolose, guard rail mancanti, fantasmi di piloti passati a fare da guardiani in una passeggiata di sette minuti nella valle della morte sembrano non bastare così, pochi secondi prima della partenza, arriva anche l’elemento imprevedibile a far rabbrividire…arriva la pioggia.
I semafori si spengono, si parte con James Hunt davanti a Niki Lauda. A termine del primo giro la pista comincia ad asciugarsi e i piloti sono costretti a cambiare le gomme. Al secondo giro Lauda è sempre all’inseguimento dell’inglese ma il suo cronometro ha pochi secondi da registrare perchè proprio durante quel giro, in una curva al Bergwerk, nel punto più lontano dai box, il pilota perde il controllo della sua vettura, colpisce il guard rail e rimbalza in mezzo alla pista prendendo immediatamente fuoco. Guy Edwards riesce ad evitarlo ma Harald Ertl e Brett Lunger lo colpiscono in pieno.

L’inferno verde si trasforma immediatamente in un inferno di fuoco. Lauda perde il casco, rimane imprigionato tra le fiamme della sua Ferrari fino a quando i suoi compagni non riescono a tirarlo fuori e ad adagiarlo sull’erba dove riceve i primi soccorsi. Nessun commissario ad aiutare Niki, nessun addetto a spegnere le fiamme…ci sono solo piloti a salvare un pilota.
Tutto a causa di un circuito troppo pericoloso anche per la Formula 1, in un giorno in cui il tempo ha deciso di esercitare il suo potere non attraverso il crono migliore da raggiungere ma per mezzo della strada da percorrere, una strada forse troppo lunga per arrivare vivi fino alla fine.
“Ma il tempo è come una strada. Ci si può muovere in avanti lungo quella strada, ci si può muovere indietro ma non si potrà mai creare una nuova strada. Se si provasse a fare qualcosa di diverso, falliremmo ogni volta. Qualunque cosa sia successa, è successa“

2011. Il tempo è pronto a svelare un percorso nuovo per nuovi piloti, un percorso sopra cui le auto della Formula 1 hanno iniziato a camminare proprio 35 anni prima perchè nel 1976 dove la strada del Nurburgring finisce quella di Montreal comincia.
Bisogna aspettare il 1978 per assistere al primo Gran Premio del Canada effettivo. La pista non presenta curve veloci ma una serie di curve ad ‘esse’ alternate a lunghi rettilinei. Ancora oggi la sua natura semi permanente limita lo sviluppo al punto tale da non poter allargare gli spazi di fuga “costringendo” i piloti ad optare per lo schianto contro il muretto.
Un circuito non pericoloso come quello tedesco ma con altrettanti punti oscuri a fare paura, un circuito su cui l’8 maggio 1982 il tempo è passato a riscuotere il suo pedaggio non pagato in Germania 6 anni prima.
Il giorno in cui la sabbia nella clessidra canadese si macchia di nuovo di rosso, il rosso del cavallino rampante di Maranello, il rosso della Ferrari, il rosso del sangue di Gilles Villenueve.
Eppure dopo 29 anni, il 12 giugno 2011 il tempo sceglie di redimersi, di fare ammenda e chiedere scusa al mondo motore ma non senza prima mettere nuovamente i piloti alla prova. E stavolta lo fa con una gara interminabile, la più lunga mai corsa fino ad oggi.
La griglia di partenza vede Sebastian Vettel guidare il gruppo dalla pole, con Jenson Button a scattare dalla settima casella, eppure sarà proprio lui a salire sul gradino più alto del podio.

Lo scenario sembra essere lo stesso dell’agosto 1976, sì, perchè prima della partenza il tempo non manca di presentare la sua costante, il suo elemento imprevedibile: la pioggia.
La pista è bagnata, le monoposto vengono fatte partire in regime di safety car. Al quarto giro inizia la gara vera e propria. Al dodicesimo, dopo un testacoda di Webber e il ritiro di Hamilton in seguito ad un contatto con lo stesso Button, l’inglese, montate le gomme intermedie, subisce una penalizzazione, scivolando così al quindicesimo posto.
Giro 17. I piloti sembrano seguire la strategia di Button e optano anch’essi per le intermedie ma dopo solo due giri la pioggia è talmente forte da costringere all’esposizione della bandiera rossa e ad una sospensione della gara per ben 90 minuti.
La prova del tempo non è ancora terminata.
Giro dopo giro la gara prosegue, granello dopo granello la sabbia continua a scorrere ma questa volta lo fa lentamente perchè stavolta non c’è la sadica frenesia di vedere CHI riuscirà ad arrivare alla fine del circuito ma l’eccitante curiosità di scoprire CHI vincerà alla fine della corsa.
E a tagliare il traguardo dopo 4 ore, 4 minuti e 49 secondi è un pilota che non si è lasciato spezzare dalla lunga trappola temporale, un pilota che non si è lasciato distrarre dall’incantesimo meteorologico, un pilota a cui il tempo ha dato la possibilità di VINCERE normalmente una gara che di normale ha avuto ben poco e quel pilota è Jenson Button.

2021. Ancora oggi assistiamo allo spettacolare ciclico ripetersi di un tempo forgiato sulle piste.
In ogni gara i piloti corrono su strade già tracciate dai compagni che li hanno preceduti, indicando a loro volta la via da percorrere a coloro che li seguiranno.
L’eterno ritorno di un asfalto già calpestato ma con una regola fondamentale: solo il pilota che taglia il traguardo può decidere COME finire la sua corsa.