Senna-Prost: una rivalità che li ha resi immortali

Senna-Prost: una rivalità che li ha resi immortali

27 Gennaio 2021 0 Di

Dagli albori agli allori, vivendo un rapporto costantemente in bilico fra “rivalità” e “odio”, senza mai scordarsi che in quest’ultimo c’è sempre una punta di amore, ecco come Ayrton Senna e Alain Prost sono diventati l’uno dell’altro non un semplice avversario, ma il miglior nemico che potessero mai desiderare.

Se è vero che ognuno di noi è collegato con un filo invisibile al proprio passato, che, anche contro la nostra volontà, torna a condizionare ogni nostra scelta, allora è bene iniziare a raccontare la loro storia dalle origini.

Francia, 1969: un quattordicenne francese con un destino, apparentemente scritto, da futuro insegnante, sale per la prima volta sui kart senza sapere che quell’adrenalina, provata quando il motore si è spento, contrapposta a una vita fin troppo regolare, non ha segnato certo la fine, ma solo l’inizio. Insomma talento per caso, campione per scelta. Questo amore a prima vista, seguendo la rigorosità tipica di Prost, non ha certo intaccato la carriera designatagli dai genitori, perché “Professore” lo diventerà, solo che, invece di stare seduto dietro a una cattedra, avrà una tuta e un casco a incorniciargli il profilo napoleonico.

Nel mentre, nell’altra riva dell’oceano, un brasiliano, che da 3 anni ha fatto sua la frase “vivere ogni giorno come fosse l’ultimo”, tenta invano di dominare i campionati di kart, come se il Dio delle corse volesse avere l’onore di incoronare Senna campione solo una volta giunto nella categoria regina. E, se è vero che l’attesa aumenta il desiderio, quel Dio voleva che tale desiderio, nel pilota, sublimasse nella manifestazione della sua grandezza nella maniera più eclatante possibile, così che tutti si rendessero conto che, in quel 1984, nel mondo delle corse, non era entrato un pilota qualsiasi, ma il pilota. Episodio chiave dei suoi esordi, a cui forse neanche Ayrton aveva dato peso, è la beffa in seguito a una sconfitta sui kart sotto la pioggia, che lo porterà a fare giri di pista ogni volta che dalla finestra vedeva cadere gocce d’acqua, ignaro del valore provvidenziale che esse avranno nella sua carriera.

“La prima volta non si scorda mai”, e quale scenario, se non Montecarlo, poteva sugellare nel modo più glorioso possibile il primo incrocio dei loro sguardi?

Si dice che sotto la pioggia nascano i fiori più belli, ecco spiegata la meraviglia del rapporto fra Senna e Prost. Un rapporto iniziato sotto la pioggia torrenziale nel circuito di Monaco, contornato da un cielo tetro che è riuscito a oscurare tutto, tutto eccetto un puntino giallo che negli specchietti di un francese si faceva sempre più grande. Ma sotto il diluvio c’è chi si ripara e chi balla, e noi possiamo dire che Ayrton Senna era il miglior danzatore mai visto. Tra una pirouette e l’altra, il brasiliano, sulla sua sconosciuta al mondo Toleman, con un braccio al cielo, come per tendere a quella vittoria che sembrava essergli arrivata per la prima volta, non si accorge che prima di lui un certo Prost si era fermato, non in segno di sconfitta, ma in segno di colui che aveva visto accettata la richiesta di interruzione della gara a causa dell’eccessivo pericolo. Ecco che il loro primo podio insieme accompagnerà anche il loro primo sguardo, carico di odio da parte di un astro, più che nascente ormai già nato, che si è visto privato di una vittoria, e dell’entusiasmo dell’altro, vissuto, però, a metà per il dimezzamento dei punti vista l’interruzione precoce della gara, ancora inconsapevole che a dimezzarsi sarà anche il suo sorriso al termine della stagione.

Senna sulla sua Toleman, Gran Premio di Montecarlo 1984

Senza sapere il valore che avrebbe avuto, l’ultima tappa del campionato del ’84, ci ha regalato una delle istantanee destinate a rimanere impresse nei nostri cuori. Il podio portoghese era un viaggio che partiva dall’alba, rappresentata dal terzo gradino occupato da un Senna che si stava facendo posto nella Formula Uno, passando per il sole di Mezzogiorno, apparentemente intramontabile, ma che ben presto dovrà affrontare la sua precarietà, rappresentato da un Prost sia vincitore che vinto, fino ad arrivare al crepuscolo di un Lauda che vede più vicino che mai l‘addio definito alle corse, che sa di dover fare all’altezza del suo nome, e che modo migliore c’è, se non uscire da campione del mondo? Nonostante l’alloro Prost si accorgerà molto presto che se, sotto quel fatidico diluvio di Montecarlo, non avesse privato Senna della sua vittoria, accontentandosi di un secondo posto, ora non vedrebbe mancare il titolo di mezzo punto, ma si sa che i piloti e l’accontentarsi non sono mai andati d’accordo.

Ecco che in Portogallo, terra di mezzo a separare l’infinità dell’oceano e quella rigidità della terraferma, si è verificato il passaggio del testimone da Lauda a Prost, con tutta la schematicità, lucidità e freddezza che hanno accompagnato il primo verso i suoi 3 successi, scordandosi che, dove c’era lui, c’era sempre anche un certo James Hunt. Da vincente quale è, Prost, non può che aver accettato questa eredità; da megalomane quale è, non può che aver elevato fino all’apice tutte le qualità dell’austriaco, compresa la ricerca del migliore nemico da avere, dentro, e fuori, la pista.

Gran Premio del Portogallo, Estoril, 1984

“Uno dei puti di forza che ho, è che di solito quando prendo una decisione non me ne pento mai, ma quella volta, dal mio punto di vista errai in maniera lampante”. Ecco le parole pronunciate dal Professore dopo essersi accorto di come, anche se solo per un istante, il suo pragmatismo si sia arreso di fronte a un’incoscienza dovuta, forse a una sottovalutazione del nemico, forse a una sopravvalutazione della propria lucidità. Questa scelta di cui si parla, cruciale per la sua carriera, fondamentale per la sua affermazione e indimenticabile per i cuori dei tifosi, più che una scelta, ora che ora, appare più come la manifestazione della Provvidenza, che ha voluto che gli autori dei più tramandati racconti di Formula Uno fossero due piloti che la storia, più che scritta, l’hanno dominata. Ebbene sì, alla domanda di Ron Dennis su chi quella che avrebbe dovuto essere il suo compagno di squadra in McLaren, Prost rispose col nome “Ayrton Senna”.

Un Senna che nel frattempo aveva messo in scena la sua prima vittoria nel teatro portoghese, ovviamente sotto una pioggia torrenziale, come se, demolendo tutti gli avversari, andava a divorare quelle gocce d’acqua che, oltre a bagnarli il casco, lo separavano dal suo amato Brasile, accompagnatore fisso in ogni sua gara.

L’88 fu una stagione sovrastata dal cannibalismo di Senna il sabato e da tutta la velocità e freddezza di Prost la domenica, concluso, però, con quest’ultimo beffato dal destino che lo vide sconfitto a causa di quelle regole che lui tanto rispettava, per cui si teneva conto solo delle migliori undici prestazioni. Se fino a metà stagione il rapporto tra i due sembrava esser rimasto confinato in una semplice inimicizia, il gran premio Portoghese ha segnato la svolta. Più Senna chiudeva la traiettoria della sua prima curva, più il divario fra Prost e il muretto diventava quasi invisibile, fino a costringerlo a compiere l’onta più grande per una pilota: alzare il piede. Fra la competitività e l’odio vi è una linea, sottilissima, ma che una volta superata segna un punto di non ritorno. Possiamo dire allora che è qui che inizia la loro vera rivalità.

Gran Premio del Portogallo, 1989

“Nelle fotografie, o durante le riprese televisive li vedevi sorridenti, che scherzavano tra di loro e si facevano battute a vicenda. Ma bastava osservarli un po’ meglio per capire come sarebbe andata a finire..”.

Un epilogo già scritto per Ron Dennis, che forse non immaginava neanche che livelli avrebbe raggiunto. Cosa c’è di peggio che un compagno di squadra che, a livello dei migliori giuristi, raggira un ordine di scuderia, pur di rendere quel rispetto delle regole che contraddistingue il suo vicino di box come la sua più grande condanna? Basta chiedere quello che Prost ha provato nel vedere l’alloro posto sul capo di Senna a Imola, dopo la richiesta esplicita del team di non tentare il sorpasso qualora al primo posto vi fosse stata un’altra McLaren: un patto tradito per il francese, un’irrefrenabile desiderio di annichilimento di ogni avversario per il brasiliano e l’inizio della guerra fredda nel mondo delle corse.

Ora più che mai è, infatti, evidente come Senna non volesse battere Prost, no, lui voleva annientarlo, umiliarlo, la vittoria non bastava più, tutto andava oltre il vincere. E questo lo sapeva anche il francese quando vedeva Ayrton che il sabato non si accontentava della pole, facendo giri su giri fino a quando quel distacco (pari a 1”4 nel Principato, dopo un giro di Senna che ancora oggi, in termini di perfezione, non ci si riesce a spiegare) non diventava una ferita troppo grande nell’animo di Alain, insanabile per il giorno dopo ed impressa dentro di lui per il resto delle gare.

Più passava il tempo e più i meccanici si spostavano dal box di Prost verso quello di Senna, facendo maturare nel primo un senso di solitudine che lo porterà a non poter rifiutare la chiamata della Ferrari, ma non senza aver prima assestato il colpo di grazia. Siamo al giro di boa del mondiale del 1989: Suzuka.

Senna deve vincere per mantenere accesa la speranza di vittoria del mondiale, speranza che vede sempre più nitida quando uno scorcio alla prima curva sembra il posto perfetto per il sorpasso ai danni del francese. Avrebbe potuto esserlo per il francese di qualche anno fa, non per quello che vedeva nel chiudere la curva, come se non ci fosse nessuno all’interno, un punto di fine ai sogni di gloria di quel compagno che, fin dagli esordi, non ha perso tempo per infliggergli una pena dopo l’altra. Fu così che di due McLaren non ne rimase neanche una, o meglio, se per una delle due quello era lo scenario perfetto per concludere il campionato, per l’altra l’addio al titolo non era ancora stato pronunciato. Senna non perse tempo per tornare in pista e tagliare per primo la linea del traguardo, solo che, in quel gran premio, la bandiera scacchi non rappresentava la vera fine. Solo al termine, i commissari giudicarono irregolare la mossa con cui Ayrton era tornato in gara, annullandogli i punti e consegnando ad Alain il titolo. Ma chi di Suzuka ferisce, di Suzuka ferisce.

Gran Premio del Giappone, 1989

E come se il fato volesse servire a Senna la vendetta su un piatto d’argento, ecco che l’anno successivo la situazione si ripresenta uguale, solo a parti invertite. Da una parte un Prost, che ora vestiva i colori del cavallino, voleva, e doveva, tenere aperto un mondiale che vedeva in testa il suo storico rivale, il cui cuore aveva impressa una cicatrice che sapeva avrebbe smesso di bruciare solo nel vedere il suo nemico vittima della sua stessa ingiustizia. Quella che l’anno prima, con tutto il mondo come testimone, aveva visto il francese fargli terminare la gara due volte, prima nella ghiaia e poi, dopo la bandiera a scacchi, in seguito a una corsa fatta dal suo amico, nonché commissario, Balestre per l’annullamento dei punti ad Ayrton.

E, se non era servita la sveglia alle 4 del mattino a far tenere aperti gli occhi a migliaia di ferraristi incollati al televisore per il Gran Premio del Giappone, ci riuscì di sicuro la prima curva del tracciato. Un Senna, che da sempre ha incarnato l’immagine dell’essere uomo prima che pilota, che, come una freccia appena scoccata, ha colpito esattamente quel punto rosso al centro del bersaglio, chiudendo a modo suo quel torto che, neanche un anno dopo, era riuscito a digerire. “Antisportivo” oggi diremmo, “assetato di vittoria” raccontavano i telecronisti degli anni Novanta, tanti aggettivi per poi scordarsi di quello più azzeccato: umano. Umano nel portare a termine quel suo desiderio di umiliazione del nemico, umano nel non riuscire a separare l’emotività dalla giustizia e umano nell’ammettere il proprio errore, uscendo per la prima, e ultima, volta a testa bassa dall’autodromo, con la vergogna di chi non si capacita di quello che ha fatto un istante prima.

Gran Premio del Giappone, 1990

Tutte le strade portano a Suzuka. Ecco che, a un anno dal fatidico episodio, sul luogo del delitto, un Ayrton Senna già iridato non può che ammettere la volontarietà di quel suo gesto, forse con rimorsi o forse con la consapevolezza di essersi fatto giustizia fatta da sé.

Da qui in avanti le loro strade si rincontreranno più volte, fino a quando il Gran Premio di Adelaide del ’93 ha messo un punto a un racconto che sembrava destinato a non finire. L’ultima gara di Alain. L’ultimo podio dei due insieme. Di quei due che sapevano benissimo che un’epoca può avere un solo dominatore e che per esserlo, non basta battere un avversario qualsiasi, devi battere il miglior nemico. E loro l’avevano trovato. Forse se ne sono accorti solo ora, forse quel “Ti abbufferai per diventare gasso?” chiesto da Senna riguardo ai piani che Prost aveva in serbo per il suo futuro, serviva a mantenere quella freddezza creatasi negli anni, forse quel braccio di Prost alzato da Senna sul podio era il miglior modo per onorarlo e farne capire al mondo la grandezza e il rispetto posto alla base del loro rapporto.

Gran Premio di Australia, Adelaide, 1993

Fra i due non correva certo buon sangue, ma solo l’addio di Prost al mondo delle corse aveva fatto capire a Senna quanto di sé egli si era portato via. Erano complementari, ma accomunati nel tirare fuori la parte più bella dell’altro, o meglio, quella parte che non era necessaria per sconfiggere gli altri piloti. Perché loro non erano piloti come tutti, e lo avevano capito anche loro, vedendo l’amore e l’odio nato nel loro rapporto. Amore nella spontaneità delle parole “Alain, mi manchi” pronunciate da Senna in un team radio, accortosi del vuoto che Alain aveva lasciato nel ’94. Amore quando Alain, in seguito a quel primo maggio, nonostante il rancore che i brasiliani potessero avere nei suoi confronti, pur di salutare per un’ultima volta Ayrton, ha raggiunto l’oltreoceano per dirgli addio.

“Lui con me è umanamente incompatibile, ma non riesco a immaginare la mia carriera senza Alain”, credimi Ayrton, neanche noi riusciamo a pensare ad uno di noi, senza che nella nostra mente riaffiori il ricordo dell’altro, come se quel primo maggio, invece che portare Senna via con sé, ne avesse messo un pezzo dentro Alain, così che i loro ricordi si fondessero in uno unico.