100 Anni di Le Mans: 5 edizioni leggendarie
24 Dicembre 2022Nel 2023 si correrà la centesima edizione della 24h di Le Mans, in questo articolo racconteremo cinque edizioni che ne hanno fatto la storia.
La 24h di Le Mans, la gara più famosa al mondo, raggiungerà nel 2023 l’ambito record delle 100 edizioni.
Nel corso di un secolo, la corsa è stata un importante palcoscenico per tutto il panorama motoristico, capace di unire sotto un unico grande tetto i tifosi di tutto il mondo.
Rappresenta una competizione che ha spalancato le porte a costruttori importanti, motori e soluzioni avveniristiche, che ha consacrato piloti e scuderie, oltre che a segnare, nel bene o nel male, la storia di questo splendido sport per cui proviamo questa fortissima passione.
Malgrado la difficoltà nella scelta, andiamo ad elencare 5 edizioni che hanno reso questa gara ancora più speciale per tutti gli appassionati.
Specifichiamo che l’ordine di elenco è puramente cronologico.

Numero 1: Le Mans 1923, la prima
“Il futuro influenza il presente tanto quanto il passato” (Friedrich Wilhelm Nietzsche)
Per descrivere l’alone di leggenda che la 24h di Le Mans si porta dietro, non si può che partire dalla primissima edizione.
Svoltasi il 26-27 maggio del 1923, la corsa annoverava tra le sue fila 33 vetture iscritte con 66 piloti di cui ben 59 francesi.
L’idea di una corsa su una tale distanza era nata solo pochi mesi prima, a novembre del 1922, con l’intento di dimostrare l’affidabilità delle vetture turismo.
Le strade percorse furono diverse, dall’idea di assegnare un trofeo sulla base dei risultati conseguiti in addirittura tre anni, fino alla possibilità di correre una gara di 8 ore con una buona parte in condizioni notturne, con il sottile fine di spronare i costruttori a migliorare le loro apparecchiature elettriche, ma alla fine la scelta ricadde sulle 24 ore consecutive.
La pazza prima edizione
Le automobili si schierarono in partenza allineate in base all’ordine cronologico di iscrizione e di conseguenza ci furono moltissimi sorpassi fin da subito.
La gara iniziò sotto una fortissima grandinata, tramutatasi poi in pioggia battente, che nonostante gli sforzi degli organizzatori rese le strade, ai tempi non asfaltate, piene di fango e buche.
Le vetture del tempo, pesanti, con meno aderenza e in molti casi sprovviste di tetto, copertura dell’abitacolo e parabrezza, avevano enormi problemi a mantenersi in pista, complice anche il fatto che i piloti guidarono senza occhialoni protettivi, poiché sporcandosi facilmente, limitavano la visibilità.
Le uniche auto in grado di sopperire alle difficoltà descritte, erano le Chenard & Walcker e l’unica Bentley 3 Litre presente.
Nonostante la maggior velocità dimostrata, la Bentley dovette arrendersi ad una rottura del serbatoio causata da una pietra appuntita che, sbalzata dal percorso durante il passaggio delle vetture, ne provocò la foratura.
Malgrado una reazione quasi eroica del pilota Frank Clement che percorse ben 5 km a piedi dalla Arnage ai box, per poi tornare con una bicicletta a riparare la vettura (si dice poi che il pilota, una volta ripartito, fece ritorno ai box con tanto di bicicletta adagiata sul sedile), il ritardo al traguardo fu di 16 giri.
Alla fine risultò vincitrice la Chenard & Walcker con al volante André Laganache e René Léonard, rispettivamente ingegnere e capo collaudatore della casa produttrice.
La vettura percorse 128 giri da 17,262 Km, per un totale di 2,209,536 Km, alla media di circa 92 Km/h, distanziando il secondo di 4 giri.
Malgrado la gara estenuante, e sicuramente ben lungi da come siamo abituati oggi, tutte le macchine ad eccezione di tre, completarono la gara, smentendo i sostenitori del fatto che nessuna delle auto partenti era sufficientemente affidabile per reggere 24 ore di gara.

Numero 2: Le Mans 1955, la pagina più nera delle corse
La 24h di Le Mans del 1955 rimarrà impressa nella storia di questo sport come la pagina più nera dell’automobilismo sportivo.
L’11 giugno 1955, Pierre Levegh, a bordo di una Mercedes-Benz 300 SLR, seguiva sul rettilineo principale la Jaguar D-Type di Mike Hawtorn, in testa alla gara.
Durante la sfida, Hawtorn sorpassò il doppiato Lance Macklin a bordo di una Austin-Healey, salvo poi frenare bruscamente per rientrare ai box, spostandosi improvvisamente sulla destra.
Macklin provò a frenare, ma finì con le ruote sullo sporco presente a bordo pista perdendo il controllo della vettura, che scartò rapidamente verso sinistra.
Malgrado riprese aderenza in breve tempo, il veicolo si trovava ormai sulla traiettoria della Mercedes di Levegh che sopraggiungeva a velocità elevata.
L’impatto fu inevitabile, con Levegh che tamponò la Austin-Healey che funse da rampa, proiettando in alto la vettura che si schiantò contro la barriera divisoria tra pista e tribune, prendendo fuoco e uccidendo il pilota sul colpo.
La violentissima collisione fece volare alcuni pezzi dell’auto sugli spalti, causando la morte di 83 spettatori e il ferimento di altri 120.
Nonostante l’accaduto, gli organizzatori non fermarono la gara per evitare che la gente, presa dal panico, potesse rallentare la viabilità durante il deflusso dal circuito, ostacolando i soccorsi.
Le conseguenze della tragedia furono immense anche a livello mediatico, tanto che si cancellarono molte gare della stagione.
Inoltre, dopo aver vinto il Campionato di F1, la Mercedes si ritirò delle corse in segno di rispetto per le vittime e non vi fece ritorno fino al 1987.
La Svizzera vietò addirittura le gare automobilistiche sul suo territorio fino al 2015, quando, in seguito a una speciale delibera, permise le competizioni ai soli veicoli elettrici.
Lo stato svizzero ha revocato il provvedimento quest’anno, dando il via libera al ritorno delle corse sul suo suolo.

Numero 3: Le Mans 1966, Ferrari vs. Ford
L’edizione che probabilmente meno di tutte necessita di una presentazione, è quella andata in scena tra il 18 e il 19 giugno del 1966.
Nel 1963, Enzo Ferrari, deciso a vendere la sua azienda, iniziò una trattativa con la Ford, con l’intento di cedere le proprie quote ma di rimanere al comando del reparto corse e avere la massima libertà di azione.
Tuttavia, la clausola posta da Ford secondo cui ogni sforamento del budget annuale di 450 milioni di lire, doveva essere approvato dalla stessa casa statunitense, fece saltare l’accordo.
La mancata trattativa fece infuriare Henry Ford II, che decise di fare tutto il possibile in pista per far pentire il Drake del “gran rifiuto”.
Per realizzare una vettura in grado si sconfiggere Ferrari, Ford contattò tutti i più importanti costruttori dell’epoca, affidandosi a Eric Broadley della Lola, il quale in pochi mesi allestì i primi prototipi.
L’auto, chiamata GT40 per via dell’altezza di 40 pollici (poco più di 1 metro), venne iscritta alla 24h di Le Mans del 1964 in tre esemplari, ma non riuscì a concludere la gara con nessuno di essi.
Dopo questa delusione, Ford si affidò a Carroll Shelby per il perfezionamento del progetto GT40, il quale, grazie anche a un potente motore V8 da 7 litri, realizzò la “Mk II”.
Nonostante uno straordinario Ken Miles, che in gran parte contribuì allo sviluppo dell’auto, anche la Le Mans del 1965 si concluse con il medesimo risultato dell’anno precedente.
Nel 1966, risolti i problemi di affidabilità, Ford iscrisse alla leggendaria corsa francese tre esemplari gestiti dal team Shelby e con al volante i duetti Bruce McLaren-Chris Amon, Denny Hulme-Ken Miles e Dan Gurney-Jerry Grant.
La Ferrari, imbattuta dal 1960, iscrisse invece due 330 P3 guidate dai piloti Mike Parkes-Ludovico Scarfiotti e Lorenzo Bandini-Jean Guichet.
La grande sfida del ’66
Dopo oltre 17 ore in cui Ferrari e Ford si alternarono in prima posizione, malgrado dalla seconda piazza in poi fosse un dominio americano, la 330 P3 di Bandini-Guichet (l’unica rimasta dopo il ritiro di Scarfiotti all’undicesima ora) e la GT40 di Gurney-Grant si ritirarono per problemi al motore, dando il via libera ad uno scatenato Ken Miles che, trovandosi al comando al momento dell’ultimo pit stop, così come da accordi con il team, venne designato per tagliare il traguardo in prima posizione.
Vista la debacle Ferrari, inoltre, McLaren e Henry Ford II a quel punto proposero un arrivo in parata delle GT40, in modo da scattare una foto che potesse simboleggiare lo strapotere dell’ovale blu a Le Mans.
Così venne fatto, Ken Miles tagliò il traguardo per primo e Bruce McLaren per secondo, ma per via del regolamento, che prevedeva di assegnare la vittoria alla vettura che avrebbe percorso più strada nelle 24 ore, la vittoria venne assegnata a McLaren.
Ken Miles, beffato e deluso dall’esito di una corsa in larga parte dominata e costruita soprattutto grazie al suo lavoro nello sviluppo dell’auto, continuò a lavorare per Ford fino alla sua scomparsa, solo due mesi più tardi in un tragico incidente mentre testava, nuovamente, l’erede della GT40 Mk II.
Ford vinse in terra di Francia anche nei tre anni successivi, a testimonianza della bontà del progetto di Shelby, mentre Ferrari, come noto, non vinse mai più la 24h di Le Mans.
Su questa edizione, non possiamo che consigliare “Le Mans ’66 – La grande sfida – ”Ford v Ferrari” (2019, James Mangold)“.

Numero 4: Il 1969, l’ultima “partenza in stile Le Mans”
Una delle caratteristiche per cui la 24h di Le Mans è famosa in tutto il mondo, è senza ombra di dubbio la partenza atipica che si usava in passato.
Lo start, avveniva con le vetture schierate su un lato della pista e i piloti sul lato opposto.
Alle 16 in punto uno sparo dava il segnale e i piloti dovevano correre alle vetture, accomodarsi nell’abitacolo, accendere il motore e partire.
Questa pratica, in atto dal 1925, si rivelò fin da subito piuttosto pericolosa in quanto a causa della fretta, portava molti piloti ad ignorare le procedure stabilite.
Il sistema si complicò ulteriormente quando vennero introdotte le cinture di sicurezza, in quanto esse richiedevano tempo per essere allacciate correttamente.
A tal proposito la maggior parte dei concorrenti, al fine di risparmiare tempo prezioso, gareggiava durante il primo stint da circa un’ora con le cinture slacciate, per poi farsele sistemare correttamente dai meccanici durante il pit stop.
L’intuizione di Jacky Ickx
L’ultima edizione della 24h di Le Mans nella quale venne utilizzata questa partenza, fu proprio quella corsa tra il 14 e il 15 giugno del 1969.
L’allora giovane talento belga Jacky Ickx, durante la conferenza stampa, sollevò dubbi circa la procedura di partenza, da lui ritenuta pericolosa, consigliandone un cambio nelle modalità.
Malgrado la sua opinione, la direzione gara decise di mantenere inalterata la partenza, continuando la procedura come da tradizione.
Al momento del segnale, Ickx, schieratosi come da prassi dal lato opposto della pista, fu l’unico pilota a non correre alla sua vettura, ma camminò con calma, si adagiò nell’abitacolo e si assicurò di allacciare bene le cinture prima di partire.
Tristemente, durante il primo giro della gara, il pilota britannico John Woolfe perse il controllo della sua vettura, impattando violentemente.
La causa del decesso fu dovuta proprio al fatto che, durante la partenza, non si fosse preoccupato di allacciare correttamente le cinture di sicurezza, dimostrando che Jacky Ickx, poi vincitore, aveva ragione.
Dal 1970, pertanto, la partenza tradizionale venne abolita e da allora i piloti partono già a bordo dei veicoli, con le cinture saldamente allacciate.
Una piccola curiosità: la “partenza in stile Le Mans” è il motivo per cui le Porsche da strada, continuano tutt’ora ad avere l’accensione a sinistra della colonna dello sterzo, invece del tradizionale alloggiamento a destra.
Quest’insolito dettaglio, permetteva ai piloti di avviare il motore con la mano sinistra e contemporaneamente inserire la marcia con la destra, consentendo alle vetture di Stoccarda di risparmiare secondi preziosi.

Numero 5: Le Mans 1991, la prima di un motore non tradizionale
Il 22-23 giugno del 1991 si corse a Le Mans un’ edizione di svolta, grazie alla normativa Sport 3,5 litri.
Malgrado Jaguar, Mercedes-Benz, Peugeot e altri privati avessero vetture idonee al regolamento, il numero di nuovi prototipi sarebbe stato piuttosto limitato e non avrebbe consentito il riempimento della griglia con le sole auto di nuova generazione.
La FIA decise pertanto di riservare i primi 10 posti in griglia alle vetture C1, quelle in linea con i nuovi dettami della normativa, e i restanti posti alle auto C2, ovvero i prototipi gruppo C della formula precedente.
Peugeot, tuttavia, non aveva vetture differenti dalla 905, che venne quindi schierata ed ebbe l’onore di occupare le prime due caselle.
Avvantaggiate dal fatto che non dovevano sottostare alle regole delle C2, le transalpine presero il largo, salvo poi ritirarsi dopo solo 4 ore a causa di avarie al motore.
Al vertice si alternarono per larga parte della gara le vetture Porsche, Jaguar e soprattutto Mercedes, favorite per la vittoria, ma una dopo l’altra accusarono tutte problemi.
Nonostante fosse partita senza il favore dei pronostici, la Mazda 787B, fu l’unica vettura a non dover fare i conti con qualche turba al motore.
La leggera e affidabile nipponica risalì la classifica, riuscendo a strappare la vittoria con l’equipaggio composto da Weidler, Gachot e Herbert.
La particolarità di questa vettura stava nel propulsore che la spinge, un motore rotativo Wankel, nel quale il pistone non ha il classico moto rettilineo alternato, ma scorre attorno a un asse.
La vittoria risultò storica poiché fu il primo trionfo di un produttore giapponese nella gara endurance francese, ma soprattutto perché, ancora oggi, risulta la prima e unica vittoria di una vettura equipaggiata da un motore non convenzionale.

Bonus: Le Mans 2023, la prossima
Esattamente come nel caso della prima 24h, anche la prossima edizione della corsa francese sarà, nel bene o nel male, degna di entrare nella storia.
La corsa numero 100, infatti, sarà comunque speciale, sia per il traguardo record raggiunto, sia per il fatto che sancirà l’inizio di una nuova epoca d’oro delle gare endurance.
Una situazione quasi poetica se si pensa che, esattamente come un secolo fa, darà il via ad un nuovo ciclo.
A prescindere dal risultato, l’enorme ampliamento del roster vetture, il ritorno alle corse endurance di Ferrari e Porsche e la sfida per il podio di Le Mans, non può che lasciar ben sperare.
Attualmente, purtroppo, tutti i biglietti risultano venduti, ma se sei uno dei fortunati che potrà vederlo dal vivo, un giorno potrai dire “io c’ero” e magari, chissà, trovare davvero questa edizione in un articolo come questo.
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