La Life F190: la peggiore monoposto della storia della Formula 1?

La Life F190: la peggiore monoposto della storia della Formula 1?

8 Gennaio 2022 0 Di Sebastiano Vanzetta

Nata da un ambizioso progetto imprenditoriale e tecnico, la Life F190 non è passata alla storia come una vettura dalle grandi prestazioni, anzi.

Se pensate che peggio dell’Andrea Moda in F1 non si sia potuto fare, vi sbagliate di grosso. Nonostante la fallimentare esperienza del 1992 del team di Andrea Sassetti, un paio di anni prima prende vita un progetto che definirlo fallimentare è dir poco. Quello della Life F190 è uno dei peggiori della storia della Formula 1, se non addirittura il peggiore. La totale mancanza di prestazioni della F190 la colloca nell’olimpo delle peggiori monoposto che questo sport abbia mai visto. E c’è chi non esiterebbe a metterla in cima. Ecco la sua storia.

Come nasce la Life F190?

La stagione 1989 segna, dopo alcuni anni di dominio dei motori turbocompressi, il loro divieto e il ritorno degli aspirati. Ciò porta a le scuderie e i loro ingegneri a sbizzarrirsi nel progettare nuove unità propulsive da impiegare nelle nuove monoposto.

Ferrari torna ad utilizzare il suo classico V12, tratto distintivo delle monoposto di Maranello fino all’avvento dei motori turbo. La convenzionale disposizione a 12 cilindri contrapposti delle vetture del cavallino, però, aveva rischiato di non essere adottata affatto. Nel 1966, infatti, la Ferrari aveva provato al banco anche un insolito prototipo di un motore radiale W16, con quattro bancate a 60° da quattro cilindri l’una, simile a motori impiegati negli aerei. L’idea era stata del tecnico Franco Rocchi, che aveva avuto esperienze nel settore dell’aviazione, avendo lavorato per anni alle Officine Meccaniche Reggiane.

Prendendo ispirazione dal V16 della BRM di un decennio prima, Rocchi si era convinto che una disposizione a W dei cilindri avrebbe permesso di dimezzare la lunghezza del motore e guadagnare in termini di peso, mantenendo invariata la potenza del propulsore. Tuttavia, alle prove al banco, il motore palesò una debolezza strutturale a una delle testate e il progetto fu abbandonato.

Cosa c’entra questo con la Life F190, direte voi? Il progetto di quel W16 viene accantonato ma non dimenticato, e le voci della sua esistenza giungono alle orecchie dell’imprenditore Ernesto Vita, che ne rimane totalmente affascinato. Vita contatta Rocchi, non più attivo dagli anni ’70 per motivi di salute, e cerca di convincerlo a riprendere in mano il progetto e a cedergli i diritti, cosicché Vita possa entrare in F1 come fornitore di motori. Rocchi acconsente e dal suo lavoro nasce l’F35, un rivoluzionario propulsore W12 con quattro bancate di tre cilindri ciascuna, che ricalcava l’architettura dello storico motore Napier Lion utilizzato in aviazione. Sulla carta, rispetto a un tradizionale V12, il W12 avrebbe dovuto essere molto più compatto a parità di potenza sviluppata. Si sarebbe così permesso alle vetture di risparmiare sulle dimensioni del cofano motore e sul peso in favore dell’agilità.

Il W12 progettato da Franco Rocchi

Vita è fermamente convinto della bontà del progetto. A suo avviso, un motore così innovativo risulterebbe appetibile sia agli occhi di sponsor e investitori, sia agli occhi degli stessi team di F1. A questo scopo, insieme a Gianpiero Lauro, direttore sportivo e responsabile acquisti, fonda la Life Racing Engines, dove Life sta per la traduzione inglese del cognome di Ernesto. Vita presenta il nuovo motore durante la cerimonia dei Caschi d’Oro 1988 a Milano. Contemporaneamente comincia a proporre la nuova unità a numerosi team della massima competizione, tra cui anche la Tyrrell.

Le alte aspettative dell’imprenditore italiano, però, sono subito smorzate dagli addetti ai lavori. Le scuderie di F1 si dimostrano abbastanza indifferenti al nuovo progetto e scettiche sulle sue probabilità di successo. Non hanno tutti i torti, visto che il nuovo W12 sviluppa a malapena 480 CV. Il V8 della Judd, uno dei meno potenti in griglia, ne sviluppa 600. L’inedita architettura, inoltre, rende difficile lo sviluppo, facendo lievitare i costi. Come se ciò non bastasse, si aggiunge anche un altro problema. Ad alti regimi di rotazione l’iniezione elettronica di Magneti Marelli va in crisi, obbligando i tecnici della Life a ripiegare su altri fornitori.

Il progetto di Vita, quindi, fatica a decollare e non raccoglie nessun interesse da parte dei team. Nonostante ciò, per non vanificare gli sforzi fatti, l’imprenditore decide di scendere in campo con una propria monoposto per la stagione 1990. Vita acquista da Lamberto Leoni (ex pilota) un telaio ideato da Gianni Marelli, un ex dipendente Ferrari, e Richard Divila, che inizialmente sarebbe dovuto essere il telaio della First Racing, team che aveva vanamente cercato di entrare in F1 nel 1989. Il telaio viene adattato al W12 e ai regolamenti per il 1990. Il cambio a 6 marce è fornito da Hewland mentre per il carburante ci si accorda con Agip e per gli pneumatici con Goodyear. Si dipinge la carrozzeria di rosso e gli alettoni neri, quasi come fosse una monoposto della Ferrari. Nasce così la Life F190

Per dimostrare le proprie amibizioni, il team ingaggia il giovane australiano Gary Brabham, il figlio di Jack, che aveva vinto nel 1989 al primo anno la Formula 3000 britannica. Gli si affianca il collaudatore Franco Scapini, che nel 1989 aveva guidato la Lancia LC2 nel mondiale prototipi. Scapini è a tutti gli effetti solamente un collaudatore, visto che a causa delle esigue risorse del team si decide di schierare una sola vettura in pista. Sulla carta la Life F190 sarebbe potuta essere la sorpresa del campionato. Il team aveva in forze molti tecnici ex Ferrari o Alfa Romeo, mentre gomme e carburante erano gli stessi dei top team.

La fallimentare stagione 1990

Pilota e macchina vengono presentati all’Autodromo di Vallelunga, dove la vettura compie anche un paio di giri soprattutto per dimostrare agli sponsor che i lavori procedevano per il meglio. I primi veri collaudi si svolgono sul circuito di Monza dove i tecnici riscontrano qualche noia all’impianto elettrico poi risolta. La vettura compie circa 20 giri, dimostrandosi discretamente affidabile ma facendo segnare tempi scarsamente rilevanti. Per non rischiare di danneggiare la monoposto, i test pre-stagione sono comunque di breve durata e ciò sicuramente non aiuta lo sviluppo del progetto.

La Life si presenta così a Phoenix, primo GP della stagione. Visto che in quegli anni le scuderie erano molte, la prassi prevedeva la partecipazione a disputare delle pre-qualifiche per poter disputare poi le prove ufficiali e la gara. Consistevano in una sessione di prove cronometrate da passare per poter qualificarsi così al weekend di gara. La Life scende così in pista nelle pre-qualifiche ma la sua sessione dura solo 4 giri. Gary Brabham infatti si ferma a causa di noie elettriche che non gli permettono di mettere a segno tempi di rilievo. Brabham infatti termina ultimo a ben 30 secondi da Claudio Langes, penultimo al volante della EuroBrun. L’australiano infatti stoppa il cronometro a 2.07.147, mentre Langes “solamente” a 1.37.399.

Gary Brabham alla guida della F190

Al successivo GP del Brasile, ad Interlagos, alla Life va addirittura peggio. La monoposto, durante le pre-qualifiche, si spegne nella corsia box durante il giro out a causa della batteria che si è scaricata. Infatti, sebbene i tecnici del team l’avessero messa sotto carica la sera prima, lo staff del circuito aveva staccato la corrente dai box per eseguire dei lavori senza avvisare la scuderia. Il team a sua volta non si era preoccupato di verificare che tutto funzionasse correttamente. La Life non conclude così nemmeno il giro out, terminando il weekend brasiliano percorrendo poche decine di metri.

I tecnici trovano inoltre che, qualora le batterie fossero state regolarmente caricate, si sarebbero esaurite comunque nel giro di pochi minuti, a causa della centralina della F190 che funzionava male e disperdeva energia. Di fronte a tutti questi problemi Gary Brabham decide di lasciare il team dopo soli due appuntamenti. La Life decide quindi di provare a ingaggiare Bernd Schneider mentre Scapini si mette al lavoro sul circuito di Misano per risolvere i problemi della monoposto. Schneider declina gentilmente l’offerta e il team vira su Bruno Giacomelli, dopo aver tentato invano di far correre Scapini al quale è negata la superlicenza. Anche a Giacomelli, collaudatore per la March-Leyton House che non corre dal 1983, viene negata la superlicenza. Decisione poi ribaltata mentre la Life è in trattativa con Antonio Tamburini, collaudatore della Coloni.

Il team ingaggia quindi Giacomelli ma i risultati non migliorano. L’impianto elettrico è debole e scarsamente affidabile, mentre l’aerodinamica e il propulsore sono inefficienti. Giacomelli non si qualifica a nessun gran premio, pagando ogni volta distacchi di almeno 10 secondi dal penultimo. La velocità di punta è in media 60 km/h più bassa di quella delle altre scuderie, comprese quelle più scarse. A Monaco Giacomelli fa segnare tempi che non lo qualificherebbero nemmeno per la gara della Formula 3.

La F190 in azione con Giacomelli al volante

Dopo il Gran Premio di Monza la Life, nel tentativo di risollevarsi, abbandona il W12 fatto in casa rivelatosi poco potente e non affidabile. Viene sostituito dal V8 della Judd. Il cofano motore, frettolosamente modificato per ospitare il nuovo motore, fatica a chiudersi e vola addirittura via durante il primo giro lanciato ad Estoril, in Portogallo. Dopo un ulteriore tentativo di qualificarsi durante il GP di Spagna, rivelatosi infruttuoso, la Life decide di non presentarsi agli ultimi due appuntamenti a Suzuka e Adelaide, concludendo in anticipo la sua turbolenta stagione.

Nonostante Ernesto Vita annunci l’intenzione di riorganizzare il team e proseguire l’impegno in F1 anche per il 1991, l’attività della Life termina di lì a poco, con Vita che si butta in altre competizioni motoristiche.

L’unico esemplare della F190 viene acquistato dal collezionista Lorenzo Prandina e restaurata anni più tardi dall’ex capo meccanico della scuderia Oliver Piazzi. Piazzi la riequipaggia con il W12 originale e la F190 si mostra nuovamente al pubblico durante l’edizione 2007 di Goodwood pilotata da Arturo Merzario e nel 2009, sempre a Goodwood, guidata da Derek Bell.

+ posts