GP del Messico, quali sono le particolarità del circuito?

GP del Messico, quali sono le particolarità del circuito?

27 Ottobre 2023 0 Di Leonardo Raffaelli

L’elevata altitudine dell’autodromo Hermanos Rodriguez influenza considerevolmente la messa a punto delle monoposto.

Dopo diversi anni di assenza, nel 2015 il GP del Messico è tornato stabilmente nel calendario della F1. La gara si tiene, come sempre accaduto, a Città del Messico, dove si trova il circuito permanente Hermanos Rodriguez. Questa rappresenta però una tappa atipica per il Mondiale della FIA, correndosi in montagna. L’autodromo intitolato ai fratelli Rodriguez è infatti situato a circa 2240 metri di altitudine, dove l’aria è più rarefatta. Dando delle stime numeriche, la densità dell’aria è pari al ~78% di quella “convenzionale”. Ovviamente, questa peculiarità ha degli effetti significativi su ogni parte delle monoposto. Vediamo dunque come la maggiore rarefazione dell’aria influenza la messa a punto delle vetture.

Aerodinamica

Partiamo dall’aerodinamica, dato che, probabilmente, è più intuitivo capire l’impatto delle particolarità del tracciato messicano su questo ambito. Poiché la densità dell’aria è ridotta, per le macchine sarà come se ci fosse meno aria. Ciò si tramuterà in una diminuzione di 1/5 della produzione “totale” sia della deportanza, perdendo performance nelle curve, che della resistenza all’avanzamento, permettendo di raggiungere velocità massime più elevate. In altre parole, le F1 genereranno il 20% in meno delle due principali forze aerodinamiche rispetto al normale. Questa variazione è però enorme e non può essere trascurata.

Perciò, per compensare il deficit di downforce, nonostante il layout della pista suggerisca di optare per un compromesso tra velocità di percorrenza e le top speed, i team adotteranno configurazioni da alto carico, come quelle che si usano a Monaco. E il fatto curioso è che, in genere, ciò non basta comunque a raggiungere dei livelli “normali” di drag né di deportanza e dunque, alla fine del rettilineo principale, le vetture toccano velocità massime comparabili a quelle che si raggiungono a Monza o a Baku.

Confronto tra le configurazioni aerodinamiche opposte della McLaren MCL35M del 2021

Gomme e freni

Cambiando campo di analisi, il grip, cioè l’aderenza con l’asfalto, sarà ridotto, a causa sia della bassa abrasività del manto stradale che, soprattutto, dei livelli minori di downforce (dato che l’aria che schiaccia la monoposto a terra pesa meno), e ridurrà l’usura delle gomme. Parallelamente, la minore resistenza all’avanzamento allungherà gli spazi di frenata. Ciò porterà a una maggiore sollecitazione dei freni, che sono già ampiamente sforzati date le violente decelerazioni.

Si stima infatti che essi debbano dissipare, nella sola staccata di curva 1, circa 3 milioni e mezzo di joule di energia, che si disperdono tutti in calore, raggiungendo una potenza massima di ~4200 CV, oltre il quadruplo della potenza delle attuali Power Unit. Come facilmente intuibile, sarà importante trovare un modo di raffreddare adeguatamente l’impianto frenante, sottoposto a sforzi estremi, come ad Austin. A questo proposito, la maggiore rarefazione dell’aria non aiuterà il raffreddamento dei freni.

Difatti un gas meno denso riesce ad assorbire meno calore di uno più “concentrato”. Ciò avviene perché la capacità di asportazione del calore dipende dalla massa, a sua volta direttamente proporzionale alla densità. Perciò se l’aria pesa meno il suo scambio termico è minore e quindi, in soldoni, raffredda meno. Per ovviare a questo problema, sarà necessaria una maggiore portata d’aria verso i freni. In passato, per esempio, le squadre allargavano le prese d’aria o aprivano delle feritoie sui cestelli proprio per disperdere più energia.

Motore

Infine, non va trascurato l’impatto che l’elevata altitudine di Città del Messico avrà sulle Power Unit. Innanzitutto, anche queste rischieranno di risentire di problemi di raffreddamento. Per questo motivo si potrebbero vedere delle configurazioni a branchie aperte. Il nerbo della questione è però un altro.

L’aria meno densa, tra le varie, abbassa infatti il rapporto di compressione del motore endotermico e, conseguentemente, richiede meno carburante per innescare lo scoppio nella camera di combustione. Ciò ha però come conseguenza una riduzione della potenza, dato che, in termini semplicistici, se reagisce più benzina o più aria (che sono legate da un rapporto stechiometrico, dunque se aumenta una incrementa anche l’altra), il motore ha prestazioni migliori.

Inoltre, essendo i propulsori della attuali F1 dei V6 turbo-ibridi, bisogna considerare anche la sovralimentazione per cui l’aria viene compressa (aumenta la sua pressione) e immessa nella camera di combustione. Ad alta quota l’aria è però meno densa e quindi, per raggiungere i valori designati di pressione, il turbocompressore dovrà girare a regimi più alti e per più tempo, perdendo in efficienza.

Tale componente sarà perciò maggiormente sollecitato rispetto al solito e sarà più a rischio di rotture. Da questo punto di vista, saranno avvantaggiati quelli che dispongono di una girante più grande, che potranno arrivare più facilmente, e senza dover osare troppo con l’affidabilità, a fornire al motore a combustione interna la portata d’aria richiesta. In questo ambito sarà da tenere d’occhio il comportamento del “Superfast” Ferrari, che lo scorso anno aveva sofferto il fenomeno del “surge”.

Conclusioni

Ricapitolando, il GP del Messico è una tappa estremamente particolare nella stagione di F1 per via della sua altitudine sul livello del mare. L’effetto diretto dell’alta quota è la maggior rarefazione dell’aria, che impatta i setup delle monoposto. Dal punto di vista dall’aerodinamica, avviene un importante calo di drag e downforce, che spinge le scuderie a optare per configurazioni più cariche. I freni invece sono molto sollecitati e, come i propulsori, sono difficili da raffreddare. Proprio le Power Unit sono maggiormente sotto sforzo per limitare le perdite di potenza e compensare la minore densità dell’aria.

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